Esiste un metodo per motivare e ispirare le persone? Cosa dice la scienza rispetto alla possibilità di favorire il cambiamento? Come possiamo sostenere le Risorse Umane, gli Atleti, gli Studenti e i Figli nel loro processo di automiglioramento?
Secondo un nuovo studio condotto da un team di ricercatori della Case Western Reserve University, si può intervenire sul modo di allenare, motivare e ispirare in modo scientifico. La conferma arriva dall’utilizzo della neuroimmagine e l’osservazione delle risposte cerebrali.
Infatti, un recente studio condotto dalla Case Western Reserve University ha utilizzato la neuroimmagine per analizzare le risposte cerebrali a due diverse tipologie di stimoli: quando le persone pensano al loro sè ideale e quando le persone pensano al loro sè reale.
Insomma, i ricercatori hanno scoperto che quando pensiamo e affrontiamo i nostri problemi con il nostro sè reale, siamo molto meno efficaci, proattivi e positivi rispetto a quando lo facciamo con il nostro sè ideale. Quindi, i ricercatori hanno scoperto che concentrarsi sulle aspirazioni e sui sogni futuri di un individuo, piuttosto che sui suoi problemi immediati, facilita la crescita positiva e riduce la resistenza al cambiamento.
Vediamo nel dettaglio in cosa consiste questa ricerca scientifica.
Lo studio e i suoi protagonisti
Il lavoro recentemente pubblicato dal Case Western Reserve University ha utilizzato la neuroimmagine per esaminare i cervelli dei partecipanti mentre rispondevano a due diversi stili stimoli. In un caso, si stimolava l’individuo a pensare in termini di sè reale e nell’altro caso si invoglia l’individuo a pensare in termini di sè ideale.
Lo studio è stato condotto da Anthony “Tony” Jack, Richard Boyatzis e Angela Passarelli, tutti membri del Coaching Research Lab presso la Weatherhead School of Management della Case Western Reserve University.
Metodologia e risultati dello studio per motivare e ispirare
La metodologia
Lo studio ha coinvolto 47 studenti della Case Western Reserve. Ogni studente ha usufruito di una serie di sessioni di coaching di 30 minuti prima di entrare in uno scanner di risonanza magnetica funzionale (fMRI).
I ricercatori hanno esaminato la funzione cerebrale per confrontare il sé ideale di una persona, ovvero la persona come vorrebbe essere, con il suo sé presente, ovvero la persona come è realmente.
I risultati
I ricercatori hanno scoperto qualcosa di sorprendente che la metodologia del coaching non può ignorare. I ricercatori hanno notato un netto contrasto tra questi due diversi modi di pensare a noi stessi.Quando pensiamo al nostro sè ideale la risposta cerebrale è nettamente differente rispetto a quando pensiamo al nostro sè presente. I risultati della ricerca hanno dimostrato come la risposta cerebrale sia molto più bassa e limitata quando pensiamo in termini di sè reale e molto più ampia ed estesa quando pensiamo in termini di sè ideale.
La ricerca, inoltre, ha dimostrato che quando pensiamo al nostro sè reale con tutti i suoi limiti e tutti i suoi pensieri auto-critici il processo di cambiamento, di motivazione e di ispirazione viene fortemente bloccato.
Insomma, per realizzare davvero un percorso di crescita personale e di sviluppo professionale dobbiamo necessariamente entrare in contatto con il sè ideale, stimolare nel coachee l’incontro con il suo potenziale e il suo futuro desiderato.
Implicazioni pratiche dei risultati
Le persone il cui sé ideale è allenato e sviluppato, sono più abili nell’esaminare l’ambiente generale e percepire i temi emergenti, hanno affermato i ricercatori. Provano più emozioni positive, sono più aperte a nuove idee e possiedono una motivazione intrinseca più sostenuta.
Per molti anni, nel campo della motivazione e del management si è pensato che il modo migliore per agevolare il cambiamento fosse quello di utilizzare una combinazione di carota e bastone. Invece, questi risultati mostrano come sia estremamente più efficace e potente far concentrare l’individuo sui suoi sogni, sul suo potenziale e sulle sue aspirazioni per il futuro.
Una volta che qualcuno ha sviluppato una visione chiara del suo sé ideale, diventa disposto e desideroso di crescere, piuttosto che ostinato e resistente al cambiamento. Per questo, quindi, diventa necessario anche saper intervenire sulla visione futura del coachee, magari utilizzando l’IKIGAI.
Infine, questa ricerca dimostra che quando iniziamo le relazioni di aiuto, concentrandoci sui problemi immediati di qualcuno, limitiamo la sua capacità di vedere le possibilità future. Pertanto, possiamo affermare che questa ricerca si applica a diversi contesti di aiuto: dai terapeuti, ai medici; dai manager, agli insegnanti; dagli assistenti sociali, ai genitori. E, ovviamente, nel coaching.
Implicazioni della ricerca sul coaching
Questa ricerca è una conferma su alcune metodologie utilizzate all’interno delle sessioni di coaching. Infatti, ha dimostrato come il modellamento sia un processo vincente, perchè facilita nel coachee il recupero del suo sè ideale.
Inoltre, conferma l’utilizzo di alcune domande potenti che stimolano il coachee a recuperare il suo sè ideale: “come ti sentirai in futuro, quando avrai raggiunto il tuo obiettivo?” “Come ti vedi ad obiettivo raggiunto?” “Come saprai che avrai raggiunto il tuo obiettivo?” Sono domande che stimolano il sè ideale a discapito del sè reale.
Infine, questa ricerca conferma l’importanza di spostarsi dallo Stato Presente, allo Stato desiderato. Infatti, nello Stato Presente, il coachee pensa alle difficoltà, agli ostacoli, agli impedimenti attraverso il suo sè reale. Invece, nello Stato Desiderato, il coachee si proietta nel futuro, si visualizza in avanti attraverso il suo sè ideale.
Insomma, il coaching con il suo approccio rivolto al futuro, con la sua facilitazione al cambiamento basato sulla motivazione intrinseca e con suo coaching mindset aveva già recepito le indicazioni di questa ricerca, che però resta un’importante conferma per tutti i coach professionisti.
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