Una ricerca di Tack Tmi condotta tra Hr manager e senior & middle manager fa emergere sempre più l’importanza del coaching come modalità formativa per lo sviluppo di competenze, mentre rallenta l’importanza della formazione esclusivamente digitale.
Il coaching sulle competenze manageriali, nel giro di pochi anni, è diventato il terzo metodo preferito dai senior manager per il loro sviluppo (34,3%) e il quarto metodo preferito dai middle manager (30,6%).
Nello specifico, i middle manager vorrebbero meno aula teorica, meno apprendimento formale e più training on-the-job; preferirebbero meno formazione esclusivamente online/digitale e più condivisione di esperienze e pratiche con metodi dialogici.
Potendo scegliere, i middle manager preferirebbero meno mentoring, meno counseling e più coaching (+4,1%).
”Dalla ricerca condotta – commenta Irene Vecchione, ad di Tack Tmi Italy – la formazione deve andare sempre più nella direzione dell’apprendimento sul campo: meno aula e più case histories. Soprattutto, deve essere su misura, personalizzata per ciascuno, con lo scopo di ottenere il meglio da ogni risorsa. Formare è come allenare una squadra, e non a caso i manager hanno indicato nel coaching il metodo più indicato per crescere”.
In sintesi, si può affermare che stiamo assistendo a un cambio del paradigma formativo: dall’aula ci spostiamo sempre più verso dimensioni practice-based, dove l’apprendimento cooperativo attraverso le interazioni interpersonali (networked learning) è favorito dalla condivisione di esperienze e best practice, dal confronto costruttivo, dalla riflessione sui casi personali.
Il management coaching diventa sempre più rilevante nel corporate learning per tanti e differenti motivi: “Come metodo di sviluppo, il coaching contribuisce a migliorare le prestazioni manageriali e consolidare le competenze. Esso favorisce, inoltre, i processi di knowledge sharing, di mentoring e di valorizzazione delle expertise degli over 50”, afferma Emilio Rago, Chief Learning Officer di Tack Tmi Italy.
”Essere un leader-coach – avverte – è una sfida difficile per i manager moderni. Parafrasando Sir John Whitmore, uno dei capostipiti del coaching, per un capo è più facile comandare, dare ordini ai propri collaboratori, che fare delle domande aperte e ascoltare la risposta. Fare delle domande, invece, stimola le persone a pensare autonomamente e a sviluppare consapevolezza e responsabilità”.
Tra l’altro, le competenze di coaching sono molto importanti per gestire i Millennials, che richiedono feedback, sviluppo, ascolto, relazioni positive. L’apprendimento manageriale – si osserva – deve essere meno standardizzato, più ancorato alla prestazione e a comprendere sempre più momenti di knowledge sharing e di interazione tra pari.
I senior manager sono chiamati a impiegare parte del loro tempo manageriale alla formazione interna (46,6%); scambiare best practices, lessons learned e conoscenze lavorative (46,1%); partecipare a percorsi di mentoring interno per sviluppare i manager di nuova nomina (45,6%); sviluppare le loro competenze di coaching manageriale (37,3%); partecipare a una task force interfunzionale per risolvere problemi complessi (33,3%).
Tali attività di knowledge capitalization andrebbero proporzionate diversamente. Essi ritengono che darebbero maggior valore se partecipassero più frequentemente, e più attivamente, allo scambio di best practices e lessons learned (58,5%, ovvero +12,4% rispetto agli Hr manager), se fossero impiegati maggiormente nella formazione interna (57,5%, ovvero +11% rispetto agli Hr); e se, infine, fossero meno attivati come mentori interni (32,1%, ovvero -13,5% rispetto agli Hr Manager).
In entrambi i casi, il coaching è ritenuto una competenza manageriale importante per favorire la valorizzazione delle expertise dei senior manager e costruire una learning organization.
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