“Dimmi come parli e ti dirò chi sei.”
Che il linguaggio potesse condizionare i nostri pensieri e il nostro modo di approcciarmi al mondo, è risaputo.
La grammatica trasformazionale di Noam Chomsky, la Programmazione Neuro Linguistica (PNL), la Terapia Verbale, i contributi di Paul Watzlawick, il Coaching (e tanto altro) utilizzano questo passaggio nelle loro ricerche e attività.
Il potere condizionante del linguaggi lo possiamo facilmente sperimentare e verificare tutti noi.
Mentre “mi parlo” in un certo modo, proietto un’immagine di me e una possibile versione della realtà.
Questa attività, crea una serie di pensieri (che possono essere più o meno efficace, ma questa è un’altra storia). Pensieri che mi diranno come muovermi nel mondo, come affrontare una certa situazione e quali scelte prendere.
Classico esempio è quello del Public Speaking. Il mio linguaggio dice: “non sono in grado. Ho paura. Dimenticherò tutto quello che ho da dire e farò una magra figura.”
Questo tipo di comunicazione con me stesso, non rimane senza conseguenze, ma crea delle risposte comportamentali ed emotive che porteranno a delle conseguenze.
Tieni presente che una parte del lavoro del Coach si muove proprio sul linguaggio e sui pensieri che elaboriamo.
Quindi, è abbastanza evidente che il mio linguaggio mi può condizionare (nel bene e nel male).
Se questo è vero, allora, anche la LINGUA che parliamo può plasmare il nostro modo di essere e di rapportarci alla realtà.
Ecco qualche studio interessante.
1. L’ebraico assegna quasi sempre il genere maschile e femminile alle parole, mentre in finlandese non accade.
2. La tribù Piraha, in Amazzonia, non ha termini per indicare i numeri, ma usa solo parole come “pochi” e “molti”.
Sulla base di questi aspetti linguistici è affascinante notare che:
1. I bambini ebrei si accorgono in media un anno prima di essere maschi o femmina, rispetto ai loro coetanei finlandesi.
2. I Piraha non sanno tenere conto di quantità esatte, ma solo approsimative.
Questi sono solo alcuni esempi che testimonianao il condizionamento non solo del nostro linguaggio, ma anche della nostra lingua.
E’ affascinante notare che l’idioma che impariamo può avere ripercussioni sulla nostra mente e sul nostro modo di ragionare.
Ultimo esempio.
In Cina, il simbolo del drago è associato non solo a un animale fantastico e pauroso, ma soprattutto a un simbolo di fortuna e saggezza. Ne consegue che un cinese “vedrà” in modo diverso da un occidentale l’immagine del drago e ne avrà una percezione differente.
Tutto questo dimostra che sia il nostro linguaggio, che la nostra lingua possono avere un condizionamento molto potente su di noi e sulla nostra mappa mentale.
Ora, la tua lingua madre non puoi cambiarla, ma sicuramente puoi fare attenzione al linguaggio che usi con te stesso e questo è uno dei passaggi fondamentali del coaching.
Coach Pasquale Adamo (Direttore didattico Scuola di Coaching MCI)
Direttore Scuola di Coaching MCI, Creatore del metodo Cambia la Tua Storia®, Founder MovimentoTalento, Facilitatore Teoria-U, Creatore del Coaching Canvas. Presidente Asso.Co.Pro.
Disquisizione molto interessante, dovrebbero insegnare a scuola il modo giusto di parlare e di parlarci. Complimenti per la ricerca sugli idiomi delle altre lingue, mi piacerebbe conoscere altri esempi se possibile e se ce ne sono altri. Buona serata
Grazie Rosa. La notizia buona è che collaboro con molte scuole. Quindi finalmente c’è una certa attenzione al tema del “modo giusto di parlare e di parlarci”.
La ricerca sugli idiomi è molto interessante. Esistono diverse ricerche e molti esempi, però sono complessi da spiegare per iscritto. Per esempio, in italiano per esprimere il DOVERE abbiamo solo l’operatore modale DEVO. In inglese, invece, fanno addirittura una distinzione tra “un dovere sentito dall’interno” (must) e un “dovere proveniente dall’esterno” (have to)…