Cosa contraddistingue un CAMPIONE da un NON CAMPIONE?

La sua preparazione tecnico-tattica?
La sua preparazione fisico-atletica?

Non è sufficiente!

Se ti dicessi che la differenza risiede nell’atteggiamento mentale e nella capacità di divertirsi e sorridere?

Ho preso in esame una grandissima Atleta del mio sport, il CrossFit, e il suo nome è Annie Thorisdottir.

Per chi non dovesse conoscerla, Annie è islandese, socia di CrossFit Reykjavik. Diventata famosa in tutto il mondo per aver vinto i CrossFit Games nel 2011 e nel 2012, medaglia di argento nel 2010 e nel 2014 e medaglia di bronzo nel 2017. Campionessa degli Europe Regional per ben 5 anni ( 2010, 2011, 2012, 2014, 2018 ).

Un curriculum importantissimo in uno sport duro e sempre in continua evoluzione come il CrossFit.
Cosa fa di Annie una Campionessa rispetto a tante altre sue colleghe altrettanto forti, veloci e resistenti?

Sicuramente il suo atteggiamento mentale e la sua capacità di divertirsi e sorridere in ogni situazione di allenamento e di gara.

Osserva queste foto di Annie durante diverse competizioni, in situazioni altamente stressanti per chi vive facendo l’ atleta.
Annie sorride sempre e si diverte nel praticare il suo sport.

La capacità di divertirsi mentre si pratica sport viene esplicitata da W. Timothy Gallwey nel suo “ Il gioco Interiore nel Tennis”.

Il gioco interiore o Inner Game è ciò che accade in ogni momento della nostra vita ed è il continuo dialogo tra le nostre due parti, il SÈ1 e il SÈ2, come le definisce Gallwey.

Il SÈ1 è la parte pensante, il nostro ego, mentre il SÈ2 è colei che FA. SÈ2 sa già tutto, il problema nasce quando interviene SÈ1 che con il suo intervento pensante impedisce a SÈ2 di agire liberamente.

L’autore ci indica la strada per la migliore performance che risiede nel “giocare senza pensarci”. Un atleta che si allena o gareggia senza pensarci, non si sforza, ed appare come immerso in un flusso di azioni che richiedono la sua energia, e che come risultato gli danno più potenza e precisione.

Ma si può imparare a giocare “senza pensarci”? Come si può essere consapevolmente inconsapevoli?

Forse la maniera migliore per descrivere un giocatore in tale stato è affermare che la sua mente è tanto concentrata, tanto focalizzata, che è ferma.
Egli diventa un tutt’uno con ciò che sta facendo il corpo, e le funzioni inconsapevoli o automatiche lavorano senza l’interferenza dei pensieri.

Quando un atleta è in tale stato, ben poco interferisce con l’espressione piena del suo potenziale, mentre GIOCA, IMPARA e SI DIVERTE.

E il sorriso di Annie è la più bella manifestazione del suo divertimento mentre gareggia ed è ciò che, a mio avviso, fa la differenza tra lei e le sue colleghe.
Il sorriso di Annie Thorisdottir la rende una Campionessa.

Spiegherò meglio questo mio concetto con ciò che è scritto in questo articolo.

Il sorriso è uno dei segnali non verbali più comuni tra quelli usati nella comunicazione umana. Malgrado ciò, le sue origini, le sue funzioni e i suoi effetti sull’organismo non sono ancora stati del tutto esplorati. In questo articolo vedremo insieme alcune importanti scoperte sul sorriso e scopriremo perché è tanto importante per la nostra vita.

Lo studio dell’espressione facciale delle emozioni ha ormai superato i 150 anni di storia. Uno dei pionieri in questo campo, il neurologo francese Duchenne de Boulogne, pubblicò i risultati delle sue ricerche nel 1862. Si trattava, in particolare, di esperimenti di elettrostimolazione, con cui  cercava di capire i muscoli coinvolti nelle diverse espressioni facciali. Il suo lavoro ebbe una tale eco che, oltre 100 anni dopo, fu dato il suo nome al sorriso di vera gioia, il “sorriso di Duchenne”. Duchenne fu infatti il primo a scoprire, quasi per caso, che si poteva distinguere un sorriso di circostanza da uno genuino in base ai muscoli facciali coinvolti.

Nella maggior parte dei casi, siamo portati a leggere immediatamente un sorriso come espressione di felicità. Spesso un sorriso nasconde ben altro, riuscire a capirlo è però abbastanza semplice, se sai come farlo. In un sorriso di vera gioia, vengono contratti almeno due muscoli. Lo zigomatico maggiore solleva gli angoli della bocca mentre l’orbicularis oculi, che circonda l’orbita oculare, tende la pelle delle guance e della fronte verso l’occhio. Cosa ancora più interessante, mentre il muscolo zigomatico maggiore può essere controllato volontariamente, l’orbicularis oculi no.

In poche parole, per riconoscere un sorriso autentico da uno falso, bisogna osservare molto attentamente gli occhi del nostro interlocutore. I segni caratteristici di  un “sorriso di Duchenne” in particolare sono:

  • le guance che si sollevano
  • la pelle sotto gli occhi che potrebbe diventare sporgente
  • le palpebre inferiori che si sollevano
  • le “zampe di gallina”che si possono formare all’esterno delle orbite
  • la pelle sopra gli occhi che viene tirata in basso e all’interno
  • le sopracciglia che si muovono leggermente verso il basso

 La scoperta di Duchenne  venne citata anche in un classico della letteratura sull’espressione facciale delle emozioni. Sto parlando di un libro scritto nientemeno che da Charles Darwin, intitolato “The espression of emotions in man and animals”. Malgrado ciò, negli anni successivi, nessuno sembrava ricordarsene, e tale oblio influenzò notevolmente le ricerche successive.
Per oltre un secolo gli studiosi hanno ritenuto che le espressioni facciali non dicessero molto degli stati interni degli individui. Una delle prove a sostegno di questa ipotesi era proprio l’osservazione che le persone spesso sorridono in circostanze spiacevoli.

L’idea proposta inizialmente da Duchenne è stata infine ripresa da Paul Ekman, forse la figura più significativa in questo campo. È noto, in particolare, per aver fornito prove a sostegno della natura innata dell’espressione facciale delle emozioni. L’autore, tra le altre cose, si è dedicato anche allo studio del sorriso, identificandone all’incirca 14 tipologie.
Fu proprio lui a “intitolare” al neurologo francese il sorriso di vera gioia, dopo aver dimostrato in diversi esperimenti le differenze sostanziali che esistevano tra un sorriso sentito e uno di mascheramento.

È stato osservato che il sorriso di Duchenne, ma non altri tipi di sorriso, si accompagna all’attivazione di alcune aree cerebrali solitamente associate alle esperienze emotive positive.
Penserai si tratti di un risultato scontato, ma non lo è affatto.
Gli stessi schemi di attivazione cerebrale si osservavano infatti sia quando il sorriso si manifesta spontaneamente sia quando è indotto per via sperimentale. Per quanto sia difficile controllare i muscoli facciali implicati, è infatti possibile indurli a contrarsi dando precise istruzioni ai partecipanti.
Se ti va di provarci, uno dei metodi suggeriti da Ekman e Davidson è il seguente:

  • Strizza gli occhi più forte che puoi
  • Ora prova a contrarre gli stessi muscoli ma con meno forza, in modo che gli occhi restino aperti
  • Quindi, aggiungi un sorriso.

Non solo il gesto di sorridere può innescare esperienze emotive di piacevolezza, ma sembra anche aiutare a fronteggiare lo stress. Per verificare questa ipotesi, due ricercatrici dell’Università del Kansas hanno progettato uno studio ingegnoso.
In una prima fase, hanno suddiviso i partecipanti in tre gruppi, ciascuno dei quali è stato addestrato a mantenere un’espressione facciale diversa. Per farlo hanno chiesto alle persone di  tenere in bocca delle bacchette, così da creare un’espressione facciale neutrale, un sorriso standard o un sorriso di Duchenne. Grazie all’uso delle bacchette costringevano le persone a sorridere senza esserne consapevoli , solo a metà del gruppo, infatti, era stato chiesto di sorridere.

Nella fase successiva, i partecipanti sono stati invitati a svolgere dei compiti stressanti, tenendo le bacchette in bocca come era stato loro insegnato. Per tutta la durata dell’esperimento, veniva misurata la loro frequenza cardiaca e il livello di stress percepito. I risultati hanno rivelato che tutti i soggetti che sorridevano, indipendentemente dal fatto che ne fossero consapevoli o meno,  si riprendevano più facilmente dallo stress. Gli effetti erano però più evidenti in chi mostrava un sorriso di Duchenne.

Un altro studio sull’interazione tra sorriso e performance è stato effettuato dal prof. Brick della Ulster University, pubblicato sulla rivista Psycology of Sport and Exercise, recentemente ripreso dal Times di Londra.

Per l’esperimento, il professor Noel Brick e i suoi colleghi hanno chiesto a 24 atleti dilettanti, tutti specialisti di lunghe distanze, di fare 4 corse di 6 minuti l’una all’80-85 per cento del massimo battito cardiaco, ovvero all’intensità media che userebbero per correre una maratona. In una delle corse è stato chiesto ai runner di sorridere; in un’altra di accigliarsi; in una terza di provare mentalmente a rilassarsi; e nella quarta di pensare a quello a cui pensano di solito nel corso di un allenamento. Come unità di misura, gli studiosi hanno calcolato il volume di ossigeno consumato da ciascun partecipante, che equivale alla quantità di energia spesa.

Sono rimasti sorpresi nello scoprire che, mentre chiedere loro di rilassarsi non ha avuto effetti positivi, sorridere ha funzionato, riducendo il livello di ossigeno consumato e dunque l’energia spesa. In sostanza, sorridendo gli atleti hanno utilizzato meglio le loro forze, conservandole per correre più in fretta al momento di un allungo.

E’ probabile che sorridere induca uno stato di rilassamento senza che la gente cerchi consapevolmente di rilassarsi“, osserva il professor Brick, notando che altri studi hanno dimostrato come le strategie per rilassarsi non diano sempre e subito i risultati desiderati.

Perché accade tutto questo?

Il sistema nervoso periferico è costituito da fasci di fibre nervose chiamati nervi che si diramano dal sistema nervoso centrale verso la periferia, cioè si distribuiscono alle varie zone del corpo.

I nervi, cranici o spinali, svolgono quindi una funzione di collegamento, come una strada a doppio senso: trasportano, infatti, dal centro alla periferia gli stimoli originati dal sistema nervoso centrale necessari alla contrazione muscolare; in direzione opposta, ovvero dalla periferia al centro, portano avanti gli stimoli sensoriali raccolti dai recettori, e riguardanti, per esempio, la posizione del corpo nello spazio, il dolore, la vista, l’udito, l’olfatto, il gusto, il tatto.

Ogni volta che sorridiamo arriva un impulso alla  corteccia frontale sinistra, che guarda un po’… non a caso è l’area del cervello che registra la felicità!
Quando sei felice, il corpo inizia a produrre le endorfine, “sostanze del buonumore”,  e il tuo organismo in generale godrà di una sensazione di benessere.

La prossima volta che prima o durante una gara ti senti preda dello stress e dell’ansia, o hai bisogno di tirarti un po’ su, prova allora a sorridere.
So benissimo che è l’ultima cosa che ti sentiresti di fare in un momento del genere, ma perché non provare?

Un vecchio detto dice: SORRIDI E LA VITA TI SORRIDERÀ.

Ora, è la scienza a confermarlo!

Io, personalmente, l’ho provato nella mia ultima gara di Pesistica Olimpica, ero privo di ansia, mi stavo divertendo e sorridevo.

Risultato? Ho fatto i miei Personal Best in quella gara!

Se vuoi essere un Campione, divertiti e sorridi!

Stefano Petrillo (Coach MCI e Allievo della Scuola di Coaching MCI)