Questi tre esperimenti — bip e lampi di luce, riempimento retroattivo e coniglio saltellante cutaneo — mostrano quanto i meccanismi inconsci influenzino la nostra coscienza e, quindi, la nostra capacità di prendere decisioni e interpretare la realtà. In questo articolo analizziamo come i processi inconsci plasmano ciò che “vediamo” e “sappiamo” di vedere.

L’impatto dei pensieri inconsci sulla nostra coscienza

Secondo una stima riportata dal neuroscienziato Michael Gazzaniga (citato in Rock, 2005), gran parte dell’attività mentale è inconsapevole. Anche Stanislas Dehaene, nel libro Coscienza e cervello. Come i neuroni codificano il pensiero (2014), conferma il ruolo dominante dei processi non coscienti rispetto a quelli coscienti.
Fino al più noto Pensieri lenti e veloci del premio Nobel Daniel Kahneman, che documenta un’enorme mole di dati su decisioni prese in modo automatico e rapido, senza deliberazione cosciente.
In breve: la maggior parte delle nostre decisioni, comportamenti e azioni è guidata da processi non coscienti; la coscienza resta cruciale, ma interviene spesso a valle, selezionando, giustificando o rinarrare ciò che è già stato “deciso” altrove.

Tre esperimenti che collegano inconscio e conscio

Per illustrare come l’inconscio possa condizionare, falsare o alterare la coscienza, consideriamo tre effetti classici della psicologia e delle neuroscienze percettive, ripresi e discussi da Shinsuke Shimojo (Caltech) nel 2014 all’interno del quadro della postdizione (riempimento retroattivo).

Primo esperimento: bip e lampi di luce

Ad alcuni soggetti viene mostrato un unico brevissimo lampo di luce accompagnato da un bip. In una seconda prova, lo stesso lampo è accompagnato da due bip distanziati di ~50 millisecondi.
Molti partecipanti riportano di aver visto due lampi, sebbene ne sia stato presentato uno solo. Il sistema percettivo integra in modo inconscio l’informazione uditiva con quella visiva entro una finestra temporale molto breve, creando l’illusione di un secondo lampo “allineato” al secondo bip.
Questo suggerisce che: (1) i sensi interagiscono tra loro prima della consapevolezza; (2) esiste una finestra temporale nell’ordine di decine di millisecondi in cui il cervello “decide” cosa è accaduto.

Secondo esperimento: riempimento retroattivo (postdizione)

Ai soggetti viene mostrato per un istante un ovale a scacchi bianco e nero. Con la stimolazione magnetica transcranica (TMS), i ricercatori inducono una piccola zona mascherata nella corteccia visiva primaria: i partecipanti percepiscono l’ovale e, al suo interno, una piccola area scurita.
Successivamente, viene presentato un grande ovale rosso per alcuni secondi. I soggetti continuano a percepire la stessa regione scurita, anche se la TMS non è più attiva.
Qui l’integrazione inconscia non solo altera la lettura della realtà, ma ricostruisce a posteriori l’esperienza, “riempiendo” ciò che crediamo di aver visto con informazioni che arrivano dopo lo stimolo iniziale.

Terzo esperimento: il coniglio saltellante cutaneo

In questo paradigma tattile, alcuni soggetti vengono toccati in rapida sequenza: due tocchi nello stesso punto dell’avambraccio separati da 40–200 ms e un terzo tocco poco più lontano. Molti riferiscono che il secondo tocco sia avvenuto in un punto intermedio, come se il “coniglio” fosse saltato lungo una linea tra il primo e il terzo contatto.
Anche qui emerge l’azione dell’inconscio: la mente ridistribuisce a posteriori dove collocare i tocchi nello spazio, modificando la realtà percepita in funzione dello schema ricostruito.

Perché tutto questo conta per i mental coach

Il punto non è “sbugiardare” l’esperienza del coachee, ma sapere come nasce: nei primi istanti dopo un evento (decine–centinaia di millisecondi) il cervello integra e ricompone. Per un mental coach questo significa progettare interventi che rallentano, distinguono e verificano.

Ecco come trasformare i tre effetti percettivi in pratica di coaching.

1) Attenzione al contesto → dal “racconto” alla “traccia sensoriale”

La narrazione è sincera, ma parziale. Per questo, vediamo cosa fare in sessione

  • Chiedi due versioni:

    • Versione sensoriale: “Che cosa hai visto/udito/sentito esattamente?”

    • Versione interpretativa: “Che significato gli hai dato subito dopo?”

  • Usa la scheda 3 colonne (FATTI — SENSAZIONI — INTERPRETAZIONI).

  • Mappa il contesto (persone presenti, rumore, fretta, dispositivo usato, postura): spesso qui si annidano le distorsioni.

Con questi spunti, esercizi e task puoi facilitare il passaggio dalla narrazione inconscia alla narrazione consapevole.

2) Micro-finestra decisionale → crea spazio tra evento e risposta

Nei momenti immediatamente successivi a un input, la mente può ricomporre la scena. Serve una pausa strutturata. Nelle sessioni di coaching puoi utilizzare questo schema:

Routine PAUSA (60–90 secondi)

  • PPausa fisiologica: 3 respiri lenti, espirazione più lunga.

  • AAncora somatica: nota 3 segnali corporei (tensione, calore, micro-movimenti).

  • UUscita dall’impulso: “Che cosa sto per fare in automatico?”

  • SScelta: “Quali 2 alternative ho?”

  • AAzione minima: scegli la prossima mossa reversibile.

Domande di reality-check (flash):

  • “Che cosa è dato e che cosa è deduzione?”

  • “Quale altra spiegazione sarebbe plausibile?”

  • “Quale prova mi mancherebbe per essere certo al 90%?”

Con questo schema hai sia una metodologia da proporre al tuo coachee, sia alcune domande potenti.

3) Ristrutturazione percettiva → dall’automatismo (Sistema 1) alla scelta (Sistema 2)

L’obiettivo è mettere tra parentesi la prima lettura e generare alternative. Nelle sessioni di coaching avere la possibilità di ampliare la mappa del mondo diventa essenziale per trovare nuove strategie.

In questo caso, puoi utilizzare la timeline dei 3 secondi e il Reframing:

  • Timeline dei 3 secondi: riavvolgi gli istanti prima-durante-dopo il momento critico; chiedi un titolo di 3 parole per ciascun frame.

  • Reframing 2×2:

    • Riga 1: “Se la mia lettura è vera, cosa segue?”

    • Riga 2: “Se c’è un’altra lettura, cosa potrebbe seguire?”

Insomma, un paio di esercizi rapidi per intervenire sull’automatismo e ampliare le possibilità.

Errori da evitare (per il coach)

  • Smentire di colpo l’esperienza (“non è andata così”): alza la resistenza.

  • Sovra-interpretare con etichette cliniche: resta sul piano esperienziale e operativo.

  • Saltare alla strategia senza aver separato fatti/interpretazioni: rischi di rinforzare l’automatismo.

Conclusioni

Gli esperimenti su bip & lampi, riempimento retroattivo e coniglio cutaneo mostrano che la coscienza è spesso una narrazione in tempo reale costruita su processi rapidi e inconsci. Non significa che “tutto è illusione”, ma che il nostro sistema mente–cervello integra e corregge costantemente l’esperienza con ciò che ritiene coerente.
Per il mental coach questo implica due direzioni operative:

  1. Favorire consapevolezza metacognitiva: aiutare il coachee a distinguere stimoli da interpretazioni, creando spazio tra evento e risposta.

  2. Progettare interventi esperienziali: esercizi di pausa, ricapitolazione sensoriale e verifica intermodale (cosa ho visto/udito/sentito?) riducono bias percettivi e decisioni impulsive.

In definitiva, quando accogliamo la fallibilità (e la potenza) dell’inconscio, possiamo allineare meglio percezione, decisione e azione. È qui che la pratica del coaching diventa un laboratorio virtuoso: meno reazioni automatiche, più scelte intenzionali.

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